Anche se conoscevo Merari di vista, ho parlato con lei nel
primo pomeriggio di alcuni mesi fa quando ha iniziato un meraviglioso, seppur
nella sua semplicità, progetto: quello di donare i suoi disegni ad alcune
panchine. Così, donando colore ed arte vuole far risorgere questo posto. Merari
è di Rio, ma è in Italia da 30 anni, così mi racconta mentre io bevo una birra
seduto vicino a lei. Folle di curiosi si fermano, oltre me, a rivolgerle
qualche domanda e io sorrido nel vedere la scritta “Artista Zen” sul grembiule
bianco che indossa.
Il tema con cui vuole colorare queste panchine è l’ambiente da preservare
Le chiedo perché dipinge in strada, perché proprio in strada. Quel sorriso che
non l’abbandona mai…
La gente, dice, mi chiede spesso se mi paghino o meno. A me piace il bello. Riempire
il mondo di colore contribuisce a dare il buon umore. È come una piccola
missione, ne ho avuto testimonianza: dipingevo vasi e l’effetto del colore su
di essi è antidepressivo, straordinario, sull’uomo. In Calabria si usa poco,
vengo dai tropici dove si usa tanto, il colore.
Se può essere utile, aggiunge, a migliorare l’umore? Si, io associo il mare al
sole, Vibo Marina è un paese spento, ha un popolo triste ed apatico, non dico
tutti ma una parte, e sorride poco. Ti racconto una storia, aggiunge: ho fatto
un piccolo lavoro su dei pannelli con i bimbi delle elementari per Natale.
Cerco di coinvolgere i bimbi perché saranno gli adulti del domani. Ogni bimbo,
dice, è una storia a se ed allo stesso tempo un invito a ricordare la propria
innocenza Dopo qualche giorni viene a trovarmi al mio laboratorio un signore a
cui è morto un figlio e da qualche giorno non usciva più. Quando è tornato in
strada ha visto quei quadri è stata come una boccata d’aria e mi ha cercato per
scoprire chi fossi, voleva conoscermi personalmente. Il colore, ripeto può
avere un qualcosa di positivo, parla e fa sorridere.
La gente si meraviglia faccia tutto a titolo gratuito. Viviamo in una società
del dare e del ricevere, in cui davvero ci si meraviglia che si faccia tutto
per il piacere di avere un posto migliore. Le maggiori difficoltà sono nella
cultura del comune, del fare per gli altri. C’è un egoismo umano, l’uomo che fa
qualcosa per guadagnarci. Quello che faccio fa bene a me e condivido il piacere
con gli altri però non lo faccio per soldi.
Io mi sento più calabrese che brasiliana ed è strano che lo faccia io e non lo
pensi qualcuno del posto.
Ho imparato che c’è del buono, continua Merari anche nel negativo ma bisogna
cercarlo. E tutto dipende da noi. A questo può servire l’arte, è un linguaggio
parla da se e aiuta a rifletter ma non è il mio caso. Io voglio portare luce,
gioia e magari anche una risata.
Ho cominciato a dipingere qui in Italia, nel lontano 1990. È stato per mancanza
di lavoro, ho continuato perché ho trovato piacere nel farlo. Sono sempre stata
una donna indipendente e così ho scoperto di poter fare sempre di più e meglio
anche nel sociale.
Il contatto con l’opera, continua Merari è fondamentale. È strano, nota, ed è
bello vederti scrivere a penna. È bello, ha il suo fascino. La pittura va
vissuta, devi sporcarti. Anche io cerco il contatto fisico e mi piace lavorare
su superfici grandi. Per me l’arte è condivisione. Non ha senso stia chiusa.
Stai dividendo una parte di te ed è bellissimo.
Però adesso ci mettiamo a ridere un attimo, ferma ferma un attimo che me la
devo segnare. La citazione di Cocciante, che non sapevamo da quale canzone
venisse ma che faceva più o meno “prendiamo secchi di colore e coloriamo i
muri”.
Ma si, dice Merari ancora, non v’è cosa più bella del condividere una cosa che
si fa con piacere. Dipingo con passione. Detesto i musei privati, è una forma
egoistica di limitari. Torna così il piacere di dare e riceve e più si dona una
cosa e più è bella. E più sono felice.
Bisognerebbe cambiare la mente delle persone, sottolinea ancora, e io spero di
contribuire: noi dobbiamo agire per il bene comune. Possiamo essere un esempio
facendo vedere agli altri e ispirarli a fare qualcosa di positivo, che non sia
per forza la pittura. Magari qualche monello vuole distruggere questa panchina
e ci ripensa…
Durante questa chiacchierata, in un’assolata giornata di maggio è stato
piacevole vedere bambini avvicinarsi a scambiare due parole con Merari.
Osservare attenti le sue opere e chiamarla Zia, mi spiega che in Basile
l’usanza di chiamare Zia una persona è segno di rispetto ed affetto. Sembravano
tutti felici di quest’operato di Merari.

