Ho fatto un pezzo di strada per scendere a mare con una ragazza di Bivona poco più grande di me. mi ha chiesto se ancora scrivessi poesie. La mia adolescenza è un capitolo che vorrei dimenticare così, le ho risposto, scrivo ancora. Non le parlo del blog o del corso di sceneggiatura.
Adesso è più un esercizio, sto cercando di mettere su alcuni corti ed è davvero una tortura farlo senza dialoghi. I miei personaggi sentono il bisogno di comunicare qualcosa ma senza sguardi. Non avrei scritto se non avessi voluto dire qualcosa e devo imparare a farlo senza parole…
Dura, ma una bella sfida.
Mi accontento di mettere su alcuni corti per ora e due mediometraggi prima di gettarmi nella stesura di lungometraggi. Voler scrivere lo si fa sempre con l’ambizione di creare qualcosa di duraturo.
Nel Cinema (passatemi il termine altisonante) che vorrei c’è molta Calabria, quella Calabria fatta di persone comuni, pazze teste dure e spesso sopra le righe. Non voglio parlare di ‘Ndrangheta perché lo sappiamo esiste, c’è qui come altrove.
Non voglio cadere nel Cliché stra-abusato “ma ci sono anche cose buone”…
Mi piacerebbe coinvolgere alcune persone intervistate per questo blog, alcuni musicisti con cui vorrei parlare.
Che ci sia vino, spiagge (piratesche e poetiche). Qui le nostre strade sanno essere ottimi scenari.
Vorrei creare un piccolo pezzo di letteratura. Un paio di Gioiellini Cult, quelle storie che vedi ora, magari le riscopri fra sei o sette anni e il loro sapore è sempre uguale.
Forse ci sto riuscendo, attraverso una sceneggiatura, a trovare il mio modo di esprimermi. Di creare qualcosa per vivere, migliorare questo posto così scarno di un sacco di cose. Perché mi sono rotto le palle di questo posto così apatico, rassegnato a subire i pregiudizi cattivi. A esserne quasi orgoglioso…
Esser Calabresi non vuol dire solo avere la Cipolla di Tropea. Perché quella è una fortuna donataci dagli Dei che abbiamo tolto a calci in culo. Essere Calabresi vuol dire essere testa dura. Ma allo stesso tempo noi che dal nulla creiamo qualcosa…
La Sua Ragazza-Serena Maffia
Che Simpatica Scoperta, questa Scrittrice a cui mi avvicino, questa volta leggendo questo libro sottile ma piacevole davvero 🙂
Ho sempre pensato che le donne, sia nel corpo che nello spirito siano molto più poetiche degli uomini. Credo che il massimo di questa poesia si manifesti nell’amore omosessuale e vi prego di non vederla come una semplice perversione maschile.
Anche se avevo letto alcuni manga, questo è il primo romanzo che tratta di donne omosessuali.
“La sua ragazza” è un breve quanto simpatico romanzo di Serena Maffia che, senza forzamenti di alcun genere ci porta con leggerezza&ironia nella vita “franatica” di Francesca detta Frana.
Questo personaggio, non vorrei sembrare ripetitivo, è molto dolce e sta vivendo il suo momento di crisi esistenziale. Innamorata del mito di Narciso in maniera così ossessiva da rovinare perfino momenti d’intimità.
Nonostante la sua testa fra le nuvole, è una bravissima ragazza.
Si apre con Frana, come si potrebbe aprire una qualsiasi storia d’amore da manuale, resta in moto sulla Flaminia. Grazie a un energumeno, Yeti, conosce Roscio, un tipo conscio delle sue abilità di meccanico. E’ una domenica mattina, quando Frana tornerà in settimana a ripagare o semplicemente ringraziarlo incontrerà Roscio “in intimità” con Anna, la sua ragazza.
Di cui, Frana s’innamora.
Serena ci accenna che ci si ama per noia&abitudine, in un racconto a modo suo ribelle perché è una storia sullo scoprirsi anche se si è consci di se stessi. Serena usa toni innocenti anche quando si vive un momento poco innocente, nel desiderare anche se ha una donna la donna altrui e finirà in una camera con Roscio.
E tutto perché da quando c’è stato un fraintendimento, quel che appare come un bacio di una donna sbronza fa si che le due coppie vengano distrutte e le due “ex” fanno un regalo a Roscio e Frana, facendoli finire in un albergo di Venezia dove, non mi sarei di certo aspettato finisse così, Frana s’innamora di Roscio perché va a scoprire l’opposto del proprio sesso. Scopre se stessa, con sensazioni&prospettive. In un finale, almeno per me, inaspettato capiamo ci si scopre giorno per giorno anche quando diamo tanto di scontato nella nostra vita. E che l’amore è una prospettiva, la prospettiva giusta ci spiega Serena.
Però qui mi è sorto un dubbio, bellissimo finale, ma Francesca detta Frana è una frana davvero 🙂 quanto tempo c’ha messo per capire cosa possa volere dall’amore? Soprattutto “chi” vuole amare?
C’è una scena, la scena della “svolta” in cui le due ragazze, Anna e Frana sembrano baciarsi mi è sembrata un poco troppo tirata. In tutto il romanzo, mi è sembrata l’unica scena non davvero sentita o vissuta, segno che Serena non ha mai vissuto situazioni del genere. E dico questo perché in tutta la stesura, la scrittura ha una leggerezza che ci fa capire quanto l’autrice si sia divertita a scrivere, Serena non ha un approccio pesante o moralistico che possono avere certe opere di sti tempi ma piuttosto s’immedesima nel suo personaggio, come se Serena fosse anch’essa una frana nella sua quotidianità. Frana ha mille sfumature che viviamo insieme a lei, Serena avrà vissuto i suoi stessi tormenti ma in maniera diversa.
Un’altra cosa che ho apprezzato, traspare durante la narrazione, una sorta di sensazione. Che ho percepito in Fight Club di Palahniuk. Mentre Chuck però era mosso dalla rabbia che trasudava dalle sue parole, qui Serena ci mostra tutto il divertimento che c’è stato fin dall’inizio.
E’ una scrittura semplice, come già detto, da cui traspare tutta la passione di Serena per Rock&Grunge che non è mai stressante come in altri autori. A stupirmi, a un tratto c’è stata una citazione di Frank Miller (Da “una donna per cui uccidere”) che non mi sarei mai aspettato, soprattutto in una scena omosessuale.
Però ammettiamolo, la leggerezza della lettura non vuol dire banalità. La profondità del personaggio eccola arrivare a metà romanzo, con i suoi ragionamenti profondi, sulla caducità dell’amore proprio mentre lo si fa. Sta facendo un punto, accettando possa esser finito tra lei&Eva se sta facendo sesso e pensa a un’altra donna…Qui ho avuto la sensazione che Serena abbia vissuto l’attesa di una risposta da parte di una donna…
Comunque, in sintesi questo romanzo è molto piacevole. Scorre e lascia ottimi spunti di riflessione, scritto bene.
Consigliato
Adele Rombolà, Attrice “Mediterranea”
Adele Rombolà è un’attrice che nasce a Tropea nel 1978.
Ho incontrato il teatro nei corridoi universitari, trovando in bacheca l’annuncio di un mio docente di Architettura, Renato Nicolini che insieme la sua compagna, l’attrice Marilù Prati, stavano dando vita ad un laboratorio teatrale universitario, ed invitavano i ragazzi della Mediterranea ad un primo incontro al teatro Politeama “Siracusa” di Reggio Calabria.
Quella di fare teatro, dice, non è stata una decisione bensì una casualità che si è trasformata in passione e necessità personale. Ho avuto sempre un’indole creativa, da bambina adoravo disegnare e, alla fatidica domanda “cosa farai da grande?”, rispondevo “la Stilista!”, ma ho intrapreso studi scientifici influenzata dalla famiglia che, desiderando il mio bene, avrebbe preferito uno sbocco professionale sicuro.
Iniziando a fare teatro, mondo totalmente sconosciuto fino allora, pensavo sarei riuscita a conciliare questa nuova passione con gli studi di Architettura. Ma più mi ci addentravo, in questo nuovo percorso piano piano mi allontanavo dall’obiettivo che mi aveva portato a Reggio Calabria, ossia la laurea in Architettura.
È un mestiere che ti fa vivere nell’incertezza, quindi mi ritrovo ogni giorno a rinnovare questa scelta, ma oggi la faccio con fermezza e senza più esitazioni. Scelta cementificata durante il primo lockdown.
Non ho avuto una formazione accademica, ma mi sono formata all’interno di un vero teatro (una grande fortuna oggi, che i teatri chiudono cambiando destinazione d’uso), lavorando con professionisti del settore, in ogni ambito della messiscena teatrale.
Consigli di fare teatro in Calabria? Dovresti chiedermi se consiglio di fare teatro! Di sicuro, il Covid ha peggiorato una situazione già di suo non rosea. Per questo, come ti ho già detto, scegliere di farlo è una necessità personale. Per quanto mi riguarda, posso dirti che la Calabria è ricca di piccole realtà che lavorano con grande fatica, le loro produzioni indipendenti danno un forte contributo sociale al territorio.
Hai mai fatto cinema? Si! È un’esperienza maturata già in teatro, per alcuni spettacoli ci siamo serviti della “video-arte” e di riprese cinematografiche esterne. Oltre questo, parallelamente al teatro ho lavorato per produzioni sia televisive che cinematografiche.
Andresti a vivere a Roma dove ci sono più possibilità? Un tempo pensare di trasferirsi aveva senso ma oggi l’idea non mi sfiora più, perché dovrei? Se ci pensi, molte produzioni stanno scoprendo la nostra regione. Se un set con relativo cast può venire in Calabria, perché io in quanto attrice non posso andare a Roma per quel breve periodo, giusto per la lavorazione del film? Ormai è risaputo che, da anni, la Calabria è meta di produzioni italiane ed estere, inoltre noto facciano capolino pure produzioni calabresi ma quel che mi fa rabbia è il potenziale artistico sprecato della Calabria perché le produzioni arrivano con un cast già formato. La nostra regione si presta bene a essere un set cinematografico e viene valorizzata solo paesaggisticamente, gli artisti, ossia gli attori, restano relegati ai margini di ciascuna produzione, sia locale che esterna.
Quando le chiedo quale sia lo spettacolo a cui è maggiormente legata, lei mi risponde sia impossibile sceglierne solo uno. Piuttosto deve elencarne quattro e per ciascuno mi da una motivazione, soprattutto intrisa di affetto:
1) 2002, “Nozze” di Elias Canetti. Regia di Renato Nicolini. Teatro Politeama-Siracusa di Reggio Calabria. È lo spettacolo con cui ho debuttato a teatro, oltre ad essere lo spettacolo con cui ha debuttato quella che poi è diventata la mia compagnia: Mediterranea Teatro.
2) 2012 “Pirandello-Drei” di Renato Nicolini da “Vestire gli ignudi” di L. Pirandello. Regia di Renato Nicolini e Marilù Prati. Teatro Politeama-Siracusa di Reggio Calabria. È l’ultima drammaturgia scritta dal nostro direttore artistico-regista e drammaturgo. L’ultimo splendido regalo fatto prima di lasciarci.
3) 2011 “La brocca rotta a Ferramonti” di Francesco Suriano (tratto da “La brocca rotta” di Heinrich Von Kleist), regia di Francesco Suriano e Renato Nicolini, Teatro Sybaris, Castrovillari (Cs). Prima Nazionale per “Primavera dei teatri” XII edizione. È uno spettacolo che ho amato moltissimo, non solo per la bellezza dello spettacolo in sé e perché eravamo in uno dei festival più importanti, ma per il percorso che ci ha portati al debutto e che ha rappresentato uno dei periodi più felici della mia vita, in cui mi sono sentita realizzata come attrice.
4) 2018 “Interrogatorio a Maria” di Giovanni Testori, regia di Walter Manfré, Clan Off Teatro, Messina.
Walter Manfrè era un regista che stimavo molto per i modelli e metodi di interpretazione propri del suo “Teatro della Persona”. Desideravo da tempo conoscerlo e lavorare con lui, quando si presentò l’occasione nel 2018 realizzai un sogno. Questo è stato un altro dei periodi più felici della mia vita anche per il rapporto umano creatosi con Walter e i miei colleghi.
Progetti futuri? Dopo la morte del direttore artistico Renato Nicolini, avvenuta nel 2012, con Mediterranea Teatro siamo andati avanti fino il 2015 ma poi ognuno ha preso la propria strada. Oggi, svolgo la mia professione autonomamente, sono aperta a collaborazioni con altre realtà sia nel settore del teatro che nel cinema. Sai, più ami il tuo mestiere e più cerchi di approfondire e ampliare le tue competenze anche in ambiti diversi ma collegate comunque alla recitazione, per esempio negli ultimi tempi mi dedico all’acquisire competenze nell’ambito della creazione di contenuti audiovideo e del doppiaggio. Mi sto dedicando alla stesura di una mia prima drammaturgia, quando sarà pronta ne parleremo.
Così restiamo in contatto per un’altra chiacchierata.
linktr.ee/adele.rombola.actress

Dal profilo fb dell’Attrice, Adele Rombolà
Per gentile Concessione
PAOLA “ECOART” SICILIANO, COME RITROVARSI NELL’ARTE FIN DA BAMBINI
“Paola Siciliano indossa con naturalezza, come fosse una giacca, la sua solarità proprio come sanno fare gli artisti, arriva puntale al bar dove ci eravamo dati appuntamento
Paola. una ragazza nata nel 1975, ha trascorso la sua infanzia in una frazione di Sorianello, Savini. Un paesino di montagna, spiega, immerso nelle serre calabresi, dove ai tempi non avevamo neanche una piazza. Ti faccio questa piccola premessa, spiega perché è in questo contesto di montagna che si è sviluppata la mia creatività e il mio rispetto per la natura.
Sono stata sin da piccola una creativa: da bambina costruivo i giocattoli per me e per i miei fratelli con tutto ciò che trovavo, dalle macchinine di legno alle bambole di stoffa, passando per le slitte divertendoci così a scivolare sulla neve, fino ai vestiti per i nostri piccoli spettacoli tra bambini.
Crescendo la scelta della scuola è finita in questa direzione, mi sono diplomata come “Stilista di Moda”. Ho avuto la fortuna di avere due insegnanti fantastiche, Aurelia Barbieri e Stella Potenza, due donne formidabili oltre ad essere due grandi artiste. Se ho iniziato a dipingere, spiega, è perché sono state loro a farmi innamorare di spatole, pennelli e colori.
Negli anni il mio nome d’arte è divenuto Paola EcoArt. Con EcoArt ho sempre voluto sottolineare il mio modo di “Operare” nell’arte attraverso la regola delle “Tre R”: Riduci, Riusa,Ricicla. Il mio motto è: Tutto ha un’anima, basta saperci guardare dentro. Una cosa che adoro fare, quando trovo un oggetto in disuso è andare alla ricerca della sua anima, perché in ogni cosa possiamo trovarla e ridargli così una nuova vita.
Ricicli anche quando dipingi? Certo, e non solo, dice. Spesso dipingo sostituendo le tele con pezzi di MDF recuperati negli smaltimenti. Per i colori, invece, vado da degli amici che hanno colorifici e recupero le vernici di scarto. Ovunque c’è un’anima, ci tiene a specificare, io provo a ridarle vita
Come vedi, chiedo, la situazione dell’arte? A Vibo il messaggio di ogni artista viene spesso sottovalutato. Io ci tengo al mio messaggio. Mi piacerebbe, non lo nego che crescesse un vero interesse verso esso.
Vedo la Scuola come un potente alleato, dove poter creare laboratori. In un mondo che va solo verso il digitale, secondo me è fondamentale far risvegliare nei bambini la creatività, la padronanza dell’uso delle mani ed il rispetto per l’ambiente. Se si creasse più spesso questa sinergia tra scuola ed artisti, ne usciremmo tutti più arricchiti. Attraverso i bambini, dice, possiamo fare tanto e te lo dico perché in passato, grazie alla sensibilità di una dirigente scolastica abbiamo creato un piccolo progetto chiamato “estate a scuola”. Questa esperienza la porto nel cuore. Ricordo la gioia dei bimbi che a casa, dopo i laboratori, creavano le loro piccole opere, ricavandole da oggetti altrimenti buttati, è stato per me davvero un momento di felicità, e di consapevolezza, nulla è perso, possiamo fare tanto per le nuove generazioni e per il nostro pianeta ma bisogna cooperare.
Così lasciamo in programma un secondo caffè
(pagina Fb di Paola Ecoart)
https://www.facebook.com/PaolaEcoArt?mibextid=wwXIfr&rdid=aE0DgbKQmgbXmhsL#

Foto di Paola “EcoArt” Siciliano, per gentile concessione
La ROSA NEL BICCHIERE-Franco Costabile
Un libro di Poesie spunta trai libri di mio padre, lo leggo con una certa avidità. Si tratta di “La Rosa nel bicchiere” di Franco Costabile, Figura tormentata della Poesia Calabrese.
Quello che ho tra le mani però è un condensato, una raccolta di opere di Costabile. Credo ci sia però solo una parte dei libri citati però comunque mi ha permesso di avvicinarmi e scoprire una Calabria non molto diversa da quella di oggi ed è una terra a cui è molto legato. Costabile è origine di Sambiase, cittadina del Golfo.
La prima cosa che ho notato è stata la scrittura elegante. Il titolo ci riassume esattamente lo spirito colto dal libro di Costabile, nei paesini che non vivono vicino al mare (o almeno, l’ho visto spesso fare al paese della mia Nonna Materna, che non è però Sambiase) c’è questo gesto semplice per abbellire i davanzali, una rosa in un bicchiere d’acqua. In quest’opera non abbiamo affatto la Calabria da Cartolina che possiamo immaginare dalla balconata di Tropea ma quella piuttosto vissuta nei paesini che il mare non lo vedono affatto, vivono tra gli ulivi e che Costabile cita spesso. Ma gli ulivi non sono affatto idilliaci, sono posto di sofferenza per le ragazze, piacere per i proprietari, l’uomo che stupra e la donna che cresce figli Tra gli ulivi si nascondono ‘Ndrangheta&Bulli, matrimoni riparatori dopo uno stupro, un paio d’orecchini per scoparsi una ragazza quando non la si vuole stuprare e la si compra così. Ma è anche terra del personaggio saggio&silenzioso che non ne parla ma non gli sfugge nulla, del devoto che lascia il tutto alla chiesa. E questa vita semplice&povera è sempre lontana dal mare.
E’ la vita del paesino, quasi un Deandrè AnteLitteram nei suoi vicoli dove il sole del buon dio non manda i suoi raggi. Quei paesini dove tutti hanno la fortuna di saper zappare e vanno via in cerca di meglio, qui chi muore lascia la vigna al prete e la ‘Ndrangheta ingrassa con la cassa del mezzogiorno.
Lo fa ancora oggi che non esiste….
Costabile è un’anima inquieta&tormentata, alla perenne ricerca di risposte&serenità che troveranno senso in un suicidio alla canna del gas.
Costabile nonostante sia andato via, si sente sia calabrese fino il midollo. Ci parla di quella Calabria che non cambia mai, nonostante i governi che lasciano per volontà le cose così, rigoli neri e il pane venduto a credenza. Costabile ha vissuto l’epoca nera delle faide, che non nego anche qui (soprattutto il Costabile di “Apologia” mi fa pensare all’ultimo Deandrè, quello di Desamistade. Con eleganza ci descrive questo martirio che dura ancora oggi che non ci fa avere sfiducia nelle istituzioni e quasi ci fa piegare a novanta gradi, nonostante la pulizia di Gratteri Quasi con ironia ci dice con aria di scherno che non è la Calabria dei villaggi turistici: in Sila, sciolta la neve viviamo con i lupi. Quella Calabria che dice Addio ai suoi figli, un’emorragia più che un’emigrazione dell’andare via contro voglia perché qui per scaldarti fai figli su figli e quando però di figli ne hai fatti troppi, ecco un’altra immagine semplice come la rosa nel bicchiere: papà diventa un fantasma, papà è la cartolina all’anta della credenza e quasi senti la presa in giro: baci, abbracci e va cogghi vovalaci.
Notavo, nel libro alcune poesie postume, di certo legate all’ultimo periodo prima del suicidio, una certa vitalità, un incoraggiamento a prendere coscienza. Come se avesse imparato a nascondere in quelle botte di vita, tutta lasua frustrazione&malessere che l’avrebbe poi portato al già citato.
Piano piano, ho notato che con il pubblicare delle opere Costabile allungasse i propri componimenti, da epitaffi a vere e proprie fotografie
In tutta l’opera, ecco una crudezza che emerge prepotente tra versi eleganti e semplici da leggere. Dettata dall’ambiente. E’ venuto molto prima però ammetto sarebbe piaciuto molto anche a loro, credo mi ci faccia pensare a un Bukowski e un Deandrè (già detto, ante litteram…) cresciuto in ambienti diversi per il suo approccio alla poesia.
Leggetelo!
Processo a Jim Morrison-Serena Maffia
Presi il libro, alcuni anni fa, attratto molto dal titolo senza sapere a cosa andassi incontro e senza conoscerne l’autrice.
“Processo a Jim Morrison” è una breve raccolta di testi teatrali (uno, “Ilaria Vuole” è più un monologo, se vogliamo dirla tutta). Due atti unici di Serena Maffia, una piacevole lettura che spero di vedere messa in scena prima o poi.
Si apre con “Processo a Jim Morrison”, atto unico che dà il titolo e qui, più che un processo vero&proprio abbiamo un surreale dialogo tra due “resuscitati per l’occasione”: James Douglas Morrison e Pamela Courson che ripercorrono, nella casa dove sarebbe poi morto Jim Morrison, gli ultimi mesi di vita della Rock Star, il suo cosiddetto periodo parigino in una stanza di Rue de Breteulle.
Serena non ci mostra l’iconico Jim Morrison, il magro capellone delle foto a braccia aperte in pantaloni di cuoio ma lo sciamano barbone in maglione con scollo a V. Non il Dionisio del Rock che ci saremmo aspettati, di quello si è ampiamente parlato e si è idolatrato parecchio, quello di cui si parla davvero sempre poco è il Jim Morrison Poeta, animo tormentato. Un uomo tormentato anche nel suo rapporto con Pamela.
Dicevamo, non è proprio un “processo” piuttosto è un dialogo tra due anime tormentate, un’analisi che sintetizza bene l’Icona Rock che è stato, e continua a essere Jim Morrison a più di 50 anni dalla morte.
Senza nascondere il lato selvaggio, la testa di cazzo che Jim Morrison sapeva essere quando beveva. Anzi, ci viene mostrato quanto potesse essere selvaggio senza renderlo un tamarro o giustificarlo.
Serena ricorda quel che molti dimenticano, ed è una cosa che ho apprezzato parecchio, ossia che Jim Morrison si è trovato catapultato nel mondo della musica quasi per sbaglio, per lui era solo un posto di passaggio. In sintesi, un poeta arrivato alla musica per caso e alla morte rincoglionito e tutto questo con una ragazza, quella notte, messa male dalla droga, peggio di lui.
Serena, in questo breve dialogo proprio per questo relega i Doors a una semplice citazione che, se non fosse stata necessaria ne avrebbe fatto tranquillamente a meno, concentrandosi poco sulla rock star testa di cazzo e molto sul poeta fragile&ribelle che in fondo Jim era. Qui, il finto pompino fatto alla chitarra di Krieger non ci interessa affatto. Serena ci fa capire che se Jim fosse sopravvissuto, LA Woman sarebbe stato comunque il suo ultimo albo con loro: così ultimo che scappò a Parigi senza sentirlo finito.
Ci parla del suo rapporto con gli eccessi, di come odiasse Pam quando si rincoglionisse con l’eroina, di come lei lo odiasse da ubriaco. Pam e Jim sono due personalità simili vissute in maniera diversa, due pescatori, uno saggio e uno pionieristico e questo li fa tormentarsi. Non dimentichiamo il rapporto, fino i 22 tormentato e poi assente, con gli ingombranti genitori. E per loro di un ingombrante figlio, una volta morto si preoccupano di cambiarne la lapide perché piena di messaggi da parte dei fan.
Questo lato di Jim Morrison è stato colto benissimo da Serena, è proprio il Jim che ti aspetti di vedere, il poeta pionieristico tanto ribelle quanto contradittorio, il pazzo che tormenta Pam proprio perché l’ama e tutto questo senza cadere mai nella pesantezza. L’opera si legge bene e scivola, come il buon whiskey nella gola di Jim.
Ammetto mi piacerebbe vederla dal vivo, soprattutto quando Pam “sparisce di scena” per descrivere il “Jim Avvoltoio” che si presenta a casa di un’amante, la moglie del manager, lo stesso pomeriggio in cui i due decidono di divorziare.
Per un attimo, oltre le varie battute di martello abbiamo una specie di processo. Ovvero, Pam che battendo il martello incalza Jim con alcune domande ed è l’unica “sentenza” che ci troviamo davanti. Jim risponde, è innocente: non si definisce un drogato e un esaltato. Ma un tipo che crede nel senso profondo di ogni cosa.
Jim, da buon immaturo, scappa dalle definizioni.
Ricordiamolo: Jim Morrison muore il 3 luglio 1971 a Parigi, ed ecco che Serena ci mostra tutti i dubbi riguardo la sua morte. A Parigi, era scappato anche dalle sue responsabilità: voleva smettere di bere e vivere di Poesia, una sorta di vita idealizzata: Jim il Poeta e Pam la Musa.
Alla fine, viene il tragico però. Nonostante Jim, o il suo spirito siano qui con noi, i suoi ultimi momenti restano un mistero che ci permette ancora di credere alle leggende. Serena con semplicità ci restituisce la drammaticità dell’ultima notte di Jim quando tutto finisce. Con la sua voce gelida e Pam che proprio non ce la fa a stargli vicino. Citando una poesia di Jim va via, lasciandolo morto nella vasca.
Dissolvenza in Nero…
E poi… poi arriva il “Secondo atto unico” dell’opera, dal titolo “Ilaria Vuole”. È un monologo, molto più breve rispetto quello di Jim.
In una cucina semplice, una ragazza in abbigliamento casalingo piange un uomo che non c’è più. È una romantica sognatrice, o ce lo fa credere, che lamenta il dolore per aver sprecato il suo amore, è stata una donna che cercava l’amore in uomo che l’ha ferita, sedotta ed abbandonata. Ma la fine di un amore è un qualcosa che ci fa aprire gli occhi, e ci mette in condizioni di porci nuove domande per aiutarci a crescere.
Qui Serena ci mostra Ilaria, una ragazza che si aggrappa alla vita chiedendosi perché il dolore faccia male, parlandoci d’amore ed incertezza, del vuoto che una persona amata lascia andando via, lei che ora vede cattiva.
Ilaria è una ragazza fragile che cercava in un lui delle certezze che non poteva affatto darle, se non del buon sesso, a lei che lo amava follemente. Una ragazza che adesso ritorna alla realtà rivedendo in se stessa la bellezza che l’amore le dava, arrabbiata si getta nell’alcool. Cercando comunque un appiglio alla vita, per rinascere in un periodo difficile. A salvarci arriva l’ironia, che si dimostra lla base di tutto. Perché ti sei innamorata di lui? Perché aveva il membro grande…
Ma forse per non venir meno all’ironia, ci si dovrebbe domandare cosa ti aspetti da un rapporto del genere. Che il tizio resti con te a orgasmo raggiunto?
Ma Ilaria non si lascia fare altre domande e va via. Dissolvenza in nero.
In Sintesi, questo libro è stato una lettura piacevole, seppur breve. Serena è molto diretta, non ha fronzoli e dice quel che vuole dire direttamente. Sarebbe anche piacevole vederli messi in scena, anche se ne uscirebbero due brevi rappresentazioni. Comunque, consigliato
Calabria per rigenerarsi: Serena Maffia
Ho conosciuto Serena Maffia per caso, incuriosito dal suo libro “Processo a Jim Morrison”. Quando risponde al telefono, vengo piacevolmente sorpreso dalla sua voce da ragazzina
Nata a Castrovillari il 10 settembre 1979, dove non ha mai abitato perché i genitori avevano casa là vicino, descrivere Serena, dice è una domanda piuttosto difficile. Autrice di romanzi, ha lavorato in Mediaset e Rai e la scrittura è una sua passione fin da bambina.
Ho scritto drammaturgie e sceneggiature, articoli e recensioni, dice, perché la scrittura è un qualcosa che ho amato da sempre. Ricordo che le maestre, dice con un sorriso erano disperate perché i miei temi erano lunghissimi
La mia prima creazione, dice, fosse una filastrocca.
In famiglia mi hanno sempre lasciata libera. Non mi hanno mai davvero ostacolato ma neanche molto incoraggiato, perché la letteratura è un posto difficile. Mio padre mi disse: se devi intraprendere questo percorso fallo bene, per questo bocciò la mia prima raccolta di poesie quando gliela feci leggere. Per questo, dice Serena, la mia prima opera pubblicata è stata un saggio sul teatro in forma di drammaturgica.
A rivederli ora, dice, quelle poesie sono giovani&fresche con qualcosa di buono, ma ho fatto bene a seguire il consiglio di mio padre. Ovviamente, dice, le prime poesie le ho scritte a quattordici anni e il saggio a diciotto. Alla fine dei conti sono comunque andata avanti e ho raggiunto i miei obiettivi.
Adesso mi definisco un’artigiana, perché uso la mia tecnica per creare qualcosa che arrivi dritto come una freccia nel cuore e nella mente.
Il mio compagno è musicista, lui è molto contento del mio lavoro perché tra artisti ci si comprende, c’è molta bellezza&comprensione nel nostro rapporto perché viviamo l’arte insieme anche se facciamo cose diverse.
Serena ha pubblicato il suo primo saggio a 18 anni e il suo primo romanzo a 20, Sveva Va veloce. A rileggerlo ora, dice, lo modificherei, ma si fa ancora rispettare.
Ho un rapporto molto bello con la Calabria. È un posto bello, ma difficile da comprendere, soprattutto chi viene da fuori ha difficoltà a entrare in profondità nelle sue mille sfaccettature. La Calabria è un posto che mette quiete, con la sua aria profumata&pulita riesce a disintossicarmi dallo smog di Roma, dopo un giorno soltanto in Calabria i miei capelli, come la mia pelle, diventano puliti&profumati. Sarà perché ci sono le mie radici là, in Calabria, e tornare mi fa rinascere.
In Calabria, dice, in sintesi, respiro!
Di contro, a Roma ho la possibilità di esprimermi tranquillamente. È una città magica, perché anche qui respiri una cultura e una storia proprio come in Calabria. Purtroppo, con ogni “Giubileo” tendono a creare praticità per i turisti che la snaturano un po’.
La Calabria purtroppo ha anche i suoi lati difficili. Culturalmente, la Calabria, spiega sia un posto molto vivo dove si può fare cultura. È un posto pieno di scrittori costretti ad andare via, inseguendo un bisogno di libertà d’espressione che spesso manca. Ci pensi, in Germania per partecipare alla presentazione di un libro paghi un biglietto. In Calabria come in tutta Italia è inconcepibile. Manca una vera&propria organizzazione turistica, ed è mal collegata. Si dobrebbe riorganizzare, valorizzare.
In Calabria, ci tornerò a breve. Una volta l’anno, ci vengo per cercare di pensare. Questa estate ci girerò un cortometraggio. Per me resta un posto importante, da valorizzare.
Conti di tornarci definitivamente? Non saprei dirti, dice. Sento di appartenere a Roma, anche Roma mi ha dato tanto, e la libertà di esprimersi è la prima cosa.
Tra i progetti futuri, viaggiare e scoprire luoghi che nascondono storie. E il mio film.

Serena Maffia (foto, per gentile concessione di Serena Maffia 🙂 )
Arte bruzia&schietta di Mariano D’Ermoggine
La prima cosa che noto, osservando alcune foto, è una vaga somiglianza con Andrea Roncato, subito dopo quando risponde al telefono è la sua voce calda, mista alla sua parlata socievole e diretta, che ben si sposa alla sua immagine ma Mariano non se ne cura e parla con me come se fossimo due coetanei cresciuti insieme.
Partiamo dall’inizio, però. Mariano D’Ermoggine è un ragazzo che non sente affatto di essere nato, anagraficamente il 29 novembre 1965 a Cosenza. Artisticamente nasce nei primi anni ’80 quando entra a far parte del Gruppo Folcloristico “Coro della Sila” capitanato dal suo prozio Diego, icona del folklore bruzio. Nei primi anni 90, poi, conosce quello che diventerà il suo Maestro, l’attore, autore, poeta e regista cosentino Totonno Chiappetta con cui debutta in tv e teatro. Per motivi di lavoro si trasferisce a Milano e quindi “abbandona” il teatro per un po’ di anni fino a quando, nel 2012, grazie a Sergio Crocco e “la Terra di Piero” torna sulle tavole, prima con una serie di reading e poi con due commedie che sbancano il botteghino, ovvero “Conzativicci” e “Foraffascinu” dove lo troviamo fra i protagonisti principali.
Gli chiedo a chi si ispira, mi risponde: “Beh, come la gran parte di coloro che fanno teatro i miei modelli sono i grandi attori del teatro italiano, parlo dei Fratelli De Filippo, di Gasmann, Proietti, i Fratelli Giuffrè e via discorrendo”.
Ma no, assolutamente non ha fatto studi di recitazione. Mariano appartiene alla scuola di pensiero Eduardiana, la quale sosteneva diceva <Il Teatro si fa con il talento, non con la tecnica>. Ovvero penso che il teatro va fatto sulle tavole, interpretando, recitando. Poi, è chiaro, un poco di tecnica va studiata ma fondamentalmente penso si faccia così. C’è un florilegio di scuole, laboratori ed altre cose gestiti, la gran parte, da gente che il teatro non sa neanche cos’è; non credo molto nelle scuole di recitazione, fatto salvo naturalmente le scuole come l’Accademia di Roma, la “Suso Cecchi D’amico” e poche altre. Ho visto cose assurde, credimi!!! Nel laboratorio di Proietti, per esempio, si studiava lavorando e da lì sono usciti bravissimi attori e attrici, come Insinna, Brignano, Laganà, Paola Vittoria Cruciani e tanti altri.”
Capisco…ma cosa hai visto di così assurdo?. “Oh mamma mia…qualcosa come “lettura creativa” o “stage di scrittura teatrale” di due/tre giorni…lasciamo stare dai.”
Mi parla poi degli altri suoi progetti e spettacoli fatti e mi dice di aver partecipato come protagonista al dramma “Vittime di guerra” di Giuseppe Sciacca con “La compagnia della Rosa” di Acquappesa e poi di due suoi spettacoli: “Bruzio Partenopeo”, un viaggio fra le culture partenopea e bruzia così simili fra di loro, e “La vita è proprio esagerata!!!”, omaggio al Maestro Califano.
Com’è fare teatro in Calabria? “Beh…non è facile, come d’altronde da molte parti. Però si fa. Intendo dire, c’è tanta gente che fa teatro a Cosenza ed in Calabria, ci sono tante compagnie amatoriali con tanti bravi attori, alcuni più bravi e validi rispetto a tanti professionisti o pseudo tali e di questo son contento, ovviamente. Ma tutti bene o male, hanno, anzi abbiamo il problema delle strutture, degli spazi ed anche quello dei costi. Si prova a volte in casa, in magazzini freddi, umidi e polverosi. E poi le strutture, i teatri. Ti parlo di Cosenza, per esempio; fino a qualche tempo fa nella mia città c’erano, fra pubblici e privati, sei teatri, oggi ne sono rimasti due, uno è il glorioso “Rendano” l’altro il “Tieri”, ambedue di proprietà del comune ed hanno i loro giusti costi per poterli utilizzare. Va da se che, ovviamente, chi fa teatro amatorialmente o, come amo dire io di me, semi-professionalmente (ride) è costretto a questi costi…a volte si hanno gli sponsor a sostenerci, ma a volte no e quindi ci si autotassa sperando nella vendita dei biglietti che, naturalmente, non possono essere venduti a cifre esagerate. Però, ripeto, c’è tanto teatro e questo è positivo perché si fa cultura ed in una città è importante.”
Come hai vissuto, da attore, il periodo del Covid? “Male, come tutti. Ci siamo fermati, anche quando si è ripreso a fine 2021 con le limitazioni imposte, tipo “una fila si, una no, un posto si uno no” proprio per il discorso dei costi di cui dicevo prima. Ti faccio un esempio. Se un teatro ha 500 posti tu paghi il ticket da 500 posti, vigili del fuoco, siae e compagnia bella, ma con le limitazioni si possono vendere massimo 125 biglietti: mi dici a quanto dovrei vendere questi biglietti per pareggiare i costi? E poi, quanto è brutto avere il teatro semideserto…quindi, ripeto, lo abbiamo vissuto molto male ed abbiamo aspettato tempi migliori.”
E’ cosa vecchia, ma mi piace saperne cosa ne pensano gli addetti ai lavori di quel famoso video promozionale fatto dalla regione qualche anno fa. “Parli di quello di Muccino? Mi vuoi far essere cattivo…posso dire alla Fantozzi “una cagata pazzesca”?Dentro ci sono vecchi stereopiti, stronzate abnormi, sgrammaticature e quanto di peggio possa esserci. Un milione e seicentomila euro buttati. Ne avessero dati anche un quarto ad un bravo regista calabrese avrebbe fatto qualcosa di molto meglio. Ancora c’è gente che vede la Calabria come la terra dei ciucci, delle lupare in spalla, degli scansafatiche al bar (un po’ come spesso viene rappresentata la Sicilia) e sta cosa mi dà un fastidio tremendo così come mi provocano l’orticaria certe fiction o film ambientati in Calabria dove la gente la fanno parlare catanzarese se non addirittura siciliano.”
Torniamo a noi ed al teatro, classica domanda sui progetti futuri. “Beh, un bel po’ di cose, per fortuna. Innanzitutto, nell’immediato portiamo in scena al Rendano il prossimo 14 febbraio “Sei personaggi in cerca di onore” di William Lo Celso, una serie di monologhi in cui si parla di sei personaggi storici calabresi che hanno avuto, secondo noi, poco onore in vita come dopo. Poi vorrei riprendere “A morte Pulcinella!!!” di Casalini e Capponi, portata in scena due anni fa col mio amico Antonio Filippelli; ho anche un mio progetto di uno spettacolo totalmente nuovo ma credo che si farà addirittura nel 2026 anche se ci sto lavorando da quasi due anni ed inoltre vorrei portare in scena un atto unico di Vincenzo Ziccarelli che è stato, per me, il più grande commediografo bruzio del secolo scorso che ahimè ci ha lasciato circa 11 anni fa.”

Mariano D’Ermoggine, in posa poetica per gentile concessione
Antonio Tambuscio. Pop Art da Vibo Valentia
Ho avuto la fortuna di conoscere Antonio Tambuscio alcuni anni fa, quando con alcuni amici abbiamo organizzato una mostra collettiva d’arte.
Persona molto pacata, è nato ad aprile 59 a Vibo Valentia dove vive e dipinge. Disegna fin da piccolo, frequenta l’istituto d’arte per due anni prima di cambiare istituto e dopo il diploma frequenta il laboratorio forense a Firenze per otto mesi.
Con un sorriso, mi spiega non sia il primo con cui parla: una rivista americana ha portato ai media cubani la sua arte. Vengo, da parte materna, da una famiglia di artisti, mio fratello è anch’esso un artista. Quindi per me è stato molto naturale avvicinarmi a quest’arte, che in famiglia è sempre stata ben accetta ed apprezzata.
Per me, la pittura è molto importante, mi isola da tutto, ascolto musica e sto bene, nella mia creatività trovo serenità. Dimentico tutto, davvero ed è capace che all’una di notte sono ancora qui davanti la tela a dipingere.
Sono sempre stato un amante del bello, mi spiega, il nostro territorio si sta impegnando nel perderlo ma io vorrei trattenerlo, coltivandolo e trasmettendolo: è questo il mio obiettivo.
Io ero nell’unità cinofili, mi spiega. Ho trasformato il nostro canile nel più bello di Italia, me lo racconta con un sorriso d’orgoglio: è diventato, non più un canile ma una villetta.
Vengono a vederlo da tutta Italia…
Mi spiega, ed è vero, che basterebbe poco per valorizzare questo paradiso in cui viviamo
A Palermo, al piano terra del commissariato Antonio ha creato il suo primo murale. Il lavoro di Poliziotto Cinofilo lo ha portato a lavorare in grandi città, dove ogni volta in ogni caserma lasciava un dipinto e aveva comunque modo di conoscere artisti locali.
L’arte ha un grande significato per me, mi ha insegnato ad apprezzare il silenzio, a stare con me stesso e far funzionare la testa. Definisco, spiega, la mia pittura molto classica. Anche se da sei anni mescolo classico al moderno, creando un realismo che nasce dalla pop art. E nelle mostre, tra cui una permanente al Vibo Center ho avuto molti apprezzamenti, sia quando presto le opere a livello regionale che nazionale.
A livello provinciale penso di essere l’unico ad avere questo stile e cerco di farlo comunque conoscere.
Principalmente, Antonio dipinge ritratti e panorami definendo la sua arte “realismo pittorico”, in maniera vivace libera da canoni estetici troppo forzati ma comunque che può spaziare anche con canoni classici. La mostra più rappresentativa, spiega, è stata subito dopo la prima quarantena, l’ho avuta a palazzo Gagliardi con Maurizio Buonanno, il giornalista.
Durante il covid, spiega è stato il periodo che ho lavorato più di tutti, vuoi che la gente era chiusa e cercava una bellezza che mancava o forse per appagarsi. O vuoi che ha iniziato ad acquistare online, tra cui arte.
In futuro…? Volevo portare avanti questa mia arte, sono cresciuto molto artisticamente. E preparare una mostra a dicembre, a Palazzo Calimirri di Serra San Bruno

Rino Gaetano. Dipinto da Antonio Tambuscio ed esposto al Vibo Center (Foto Mia)
LORENZO STEPANCICH, ARTIGIANATO DA “ANTRO INCANTATO” IN CALABRIA
Quanto sono belle, le fiere del fumetto che ti permettono di conoscere anche questi Piccoli Artigiani Alternativi, gente come Lorenzo Stepancich che porta avanti, insieme il suo Largo Sorriso e la sua Ragazza Catanese, le proprie passioni in maniera tranquilla ed artistica. Non farti ingannare dal mio cognome, dice, perché mio padre è un istriano di origine etiope: io sono nato a Cosenza nel lontano 1986, dove vivo e lavoro in un call center da 15 anni. È un lavoro che mi tengo stretto: ricordo di aver fatto la botta per nove mesi, sfruttato e sottopagato ma adesso lavoro per un’azienda florida.
Credo che questa passione per il Fantasy si sposi bene con il mio essere calabrese, perché se guardi il lato storico&ancestrale della Calabria, quello che ti fa vivere superstizioni e le leggende locali, attraverso i racconti dei nostri nonni, è come se guardassi le leggende del nord Europa. Bisognerebbe, dice, capirla o almeno provarci con questa nostra terra.
Ma negli ultimi anni, grazie a questa passione condivisa con la mia ragazza Claudia per il genere Fantasy ed Horror, i fumetti che siano manga o americani ed italiani non importa, abbiamo deciso proprio con Claudia, che è il vero motore&scintilla di ciò, di mettere su “Antro Incantato”. Portiamo così avanti la tradizione artigiana familiare perché mio Nonno, dice Lorenzo è anch’esso artigiano. Claudia, mi racconta Lorenzo che ha girato le fiere in Sicilia insieme sua mamma, anch’essa artigiana però si dedicava principalmente ai presepi o roba comunque dedicata al periodo natalizio ed è grazie a lei che sviluppa ottime basi pratiche per questa sua creatività, a ciò aggiungi la passione per il fantasy e per il mondo nerd e diventa il motore pulsante di questo nostro piccolo progetto. Certo, se non ci fosse stata lei non avremmo creato tutto questo.
Certo, Claudia come tutti le persone creative tende a sminuire il suo impegno e il suo valore
ma dopo aver visto il riscontro positivo avuto al Cosenza Comix, per cui l’ho pressata io l’ammetto, si è fatta coraggio e ha deciso di continuare, sentendosi apprezzata.
“L’antro incantato” è un piccolo brand di oggettistica. Principalmente, le nostre bottigliette sono dei soprammobili, spiega Lorenzo. All’interno vi sono polveri metalliche con liquido sterile e colorato a cui diamo nomi riconducibili all’universo horror o fantasy. Nonostante il mondo nerd o fantasy in Calabria sia molto apprezzato&vivo, questo nostro lavoro però crea incomprensioni alle fiere: molti pensano siano oggetti satanici o blasfemi. Non è nostra intenzione, spiega Lorenzo, noi non incitiamo al male e meno ancora siamo psicopatici che cercano a tutti i costi qualcosa contro cui scagliarsi. Con il tempo, ho provato a lanciarmi anche nella creazione di opere in alluminio e allargo così il catalogo di creazioni di Claudia. Adesso, spiega, abbiamo abbastanza roba, creazioni così varie che, se apprezzi l’artigianato, difficilmente togli gli occhi da dosso
In famiglia…? Mio padre è un creativo, a volte mi aiuta e non mi ha mai fatto mancare il suo supporto morale. Mia madre è una professoressa di matematica&fisica ed è molto con i piedi per terra quindi non sempre mi capisce. Per la madre di Claudia, venendo dal quel mondo, è stata una cosa naturale.
E’ un mestiere che permette di vivere? Grazie agli eventi, agli artigiani che, come noi, non hanno partita iva, Si!
Purtroppo le fiere in Calabria si concentrano da maggio a settembre, con i sette mesi centrali di vuoto.
Vorrei aprire un negozio online, ma ci vogliono competenze che non ho. Non conviene, visti i tempi però ammetto che quest’anno durante le fiere è andato bene. Principalmente, dice Lorenzo, essendo io Calabrese e Claudia Siciliana ci muoviamo tra Calabria e Sicilia. In Calabria è andata abbastanza bene, rispetto la Sicilia ci sono state più fiere ma non è solo questo: in Sicilia, soprattutto Catania, si è sempre più alla ricerca del “Merchandising Ufficiale” a prescindere dall’oggetto rispetto un oggetto artigianale, anche se il mio stand viene comunque apprezzato.
E restiamo di vederci al prossimo stand con una birra

Bottiglietta creata da Lorenzo Stepancich, comprata ad una fiera 🙂
Lisa Bilotti, Dark Fantasy Calabrese
Risponde al telefono una calda voce jazz di ragazza .
Autrice di due romanzi di stampo dark fantasy e varie raccolte di racconti, curatrice di un blog a tema libri e mitologia (www.lisabilotti.com) Lisa Bilotti è una ragazza di 35 anni che vive a Cosenza, dove è nata&cresciuta
Ha pubblicato il suo primo romanzo, “Il sangue della veggente” a gennaio 2022 e il 31 ottobre 2023 ”La scelta della Dea”, di cui ha pubblicato anche il seguito. Si tratta dei primi romanzi dark fantasy ad ambientazione preistorica pubblicati in Italia. Con le sue storie, trattando argomenti come morte, il dolore o il cambiamento , Lisa si rivolge a un pubblico adulto. Non definisce i suoi libri come romanzi di formazione, nonostante ci sia un’evoluzione dei personaggi. Voglio mettere il lettore, spiega, nelle condizioni di porsi le stesse domande che ci poniamo io e i miei personaggi durante la stesura. Non offro risposte, spiega, perché ciascuno di noi arriva a conclusioni diverse, magari più adatte alla propria esperienza personale.
Sotto certi punti di vista, mi sento molto vicina ai miei personaggi anche se le storie sono ambientate alcuni millenni fa. Sono personaggi in lotta contro le difficoltà e cercano, come noi, il loro posto nel mondo anche se non sempre quel posto corrisponde a quello che la società vuole. Definisco la lotta vissuta dai personaggi come positiva: è lo stimolo per andare avanti, se lotti vuol dire che hai un motivo per farlo. Quando ti arrendi, vuol dire che hai smesso di crederci.
Traggo ispirazione dalla storia e dal mito. Fin da piccola, ho svolto personalmente vari studi di antropologia trovando molto interessante la preistoria e in generale gli albori delle civiltà. Una delle prime caratteristiche che ho notato, e che mi ha fatto appassionare, è stato l’animismo delle popolazioni antiche, il loro rapporto con gli spiriti e la natura. Ad avermi sempre affascinata è stato il modo in cui Mito&misticismo si siano sempre intrecciati.
L’uomo antico, spiega Lisa, si poneva le stesse domande che ci poniamo noi uomini e donne moderni, nonostante non avesse le nostre conoscenze avanzate. Molte dinamiche erano simili: la guerra per il potere o le passioni.
I miei punti di riferimento letterario sono principalmente Neil Gaiman, di cui ho adorato American Gods e George Martin, da cui ho imparato ad amare il fantasy dando spazio alle tematiche umane.
La mia famiglia vive bene questa mia passione, scrivere mi è sempre piaciuto e fin da bambina mi hanno sempre vista con un block notes e una penna in mano. . Però ammetto di non aver condiviso la gestazione del mio primo romanzo, quindi non si aspettavano pubblicassi. Di certo, neanche io mi sarei aspettata poi di collaborare con una casa editrice (la Dark Abyss Edizioni): il nostro rapporto è in parte un lavoro e in parte un poter correre via dalla quotidianità visto che sono sempre con le valigie pronte a inseguire una fiera. Ci sono abituata, alle partenze. L’editore è di Bergamo, ci si muove in diverse regioni: le fiere sono occasioni per ritrovarsi con editori e scrittori diversi, avere un dialogo con i lettori ma anche con persone di vari settori.
In Calabria, c’è un ambiente abbastanza vario di autori che scrivono. Purtroppo, nel fantasy c’è ancora una certa esterofilia, mentre l’Italia offre una grande varietà di autori di talento e fonti di ispirazione. Tuttavia in tempi recenti si sta diffondendo un fantasy che potremmo definire regionale, ambientato nei nostri borghi e nelle nostre regioni. Si è compreso che non è necessario raccontare esclusivamente di castelli anglosassoni o della campagna irlandese: l’Italia offre una grande ricchezza di ambientazioni, episodi e dinamiche che possono alimentare la narrativa.
Di cosa si occupa la Dark Abyss Edizioni? Si occupa di tutto ciò che riguarda dark, horror e gotico, la sua caratteristica è di avere un’anima esoterica e in ogni fiera portiamo questo mondo. Io mi occupo principalmente di leggere le rune essendo la mia passione rivolta principalmente verso il mondo nordico.
Quindi, cosa sarebbero queste rune? Le rune sono le lettere di un alfabeto germanico, e anticamente venivano utilizzate anche a scopo magico e divinatorio. Oggi rappresentano soprattutto un metodo per leggere l’animo umano. Leggendo le rune, non prevediamo il futuro ma, rappresentando esse degli archetipi, in loro una persona può riconoscere sé stessa e le esperienze che vive. In questo modo le rune supportano un lavoro di personale introspezione. Progetti futuri? Sto lavorando a un manuale per la lettura delle rune, la cui stesura è già molto avanzata. Inoltre, ho in cantiere un paio di storie che mi piacerebbe trasformare in romanzi…
E restiamo così, con la promessa di una birra.

Lisa Bilotti concentrata tra rune ed appunti. Per Gentile Concessione dell’Autrice

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